La domanda di credito in Eurozona sta migliorando….
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Pierre Olivier Beffy, Chief Economist di Exane BNP Paribas
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Il deprezzamento dell’Euro porta ad un miglioramento dei margini societari
Il calo del prezzo del petrolio inciderà solo in parte sulla crescita
Il problema strutturale principale: il basso livello d’inflazione in Eurozona
Gli indicatori relativi alle sorprese economiche dei paesi della moneta unica sono recentemente tornati positivi e, nelle ultime 2 settimane i mercati azionari europei hanno sovraperformato il mercato azionario americano. Permangono comunque dubbi sul fatto che il consensus sia ancora eccessivamente pessimista sulle prospettive di crescita dell’Eurozona. Una view da noi condivisa sebbene l’opinione sulle prospettive d’inflazione sia troppo ottimista: la bassa inflazione permetterà un rimbalzo dell’attività nominale solo di modesta ampiezza rispetto all’accelerazione normale dell’economia della zona Euro.
Allora perché riteniamo che il consensus sia pessimista sulle prospettive di crescita dell’Eurozona?
La prima argomentazione portata a sostegno di una visione bearish sulle prospettive di crescita dell’Eurozona è che il calo dei rendimenti reali non avrà un impatto significativo sull’economia reale a causa della scarsa domanda di credito. Sebbene il calo dei rendimenti dei titoli sovrani non si sia tradotto in migliori condizioni sul credito concesso ai privati dato che all’interno dell’Eurozona la trasmissione della politica monetaria presenta alcuni problemi, come abbiamo sottolineato nel corso degli ultimi due mesi, le indagini della BCE mostrano chiaramente una ripresa della domanda di credito. Dopo 2 anni di contrazione, nel corso del prossimo anno quest’aumento della domanda dovrebbe spingere i flussi di credito in territorio positivo, un trend che dovrebbe essere facilitato dal fatto che le banche hanno già ricevuto gli esiti dell’AQR e degli stress test.
La seconda argomentazione è che il deprezzamento della moneta unica non aiuterà l’economia dell’Eurozona. Ed è sorprendente che una tale tesi sia condivisa anche da quegli economisti che si lamentano di un euro forte. Bisogna ammettere che il deprezzamento del cambio effettivo dell’euro del 5% ha compensato solo in parte l’apprezzamento registrato negli anni precedenti. Inoltre, il deprezzamento dell’Euro non dovrebbe essere il principale driver di crescita del 2015. Va tuttavia evidenziato che il recente deprezzamento offre un effetto di base positivo a partire dall’ultimo trimestre di quest’anno con conseguente rialzo dei margini societari. I nostri strategist stimano che, a livello micro, un deprezzamento del 10% del cambio effettivo dell’euro potrà fornire una spinta del 3,5%, su base annua, agli EPS delle società dello Stoxx 600.
L’ultima argomentazione è che il calo del prezzo del petrolio non farà che aumentare il risparmio delle famiglie senza incidere sulla spesa per i consumi. Questo punto di vista è un po’ troppo semplicistico. In primo luogo, il calo del prezzo del petrolio riduce anche il costo dell’energia per le imprese. Inoltre, per quanto riguardano le famiglie, queste effettivamente aumentano i loro risparmi quando il loro potere d’acquisto aumenta in modo imprevisto, ma è anche vero che spendono in media circa 1/3 del maggior potere d’acquisto se questo è riconducibile a un prezzo del petrolio più basso. Un’osservazione che vale soprattutto per i beni durevoli. Le forti vendite registrate in Francia da SEB nel corso del terzo trimestre hanno sorpreso il consensus: questo dato, in un paese in cui la spesa per i consumi è rimasta contenuta per anni, dimostra che, nonostante le persone abbiano stretto la cinghia per un (troppo) lungo periodo di tempo, è ancora presente una buona predisposizione alla spesa.
Pur rimanendo prudenti, proviamo a tradurre il tutto in numeri. Secondo i nostri modelli macro, un calo di 100 punti base dei rendimenti reali porta normalmente ad un rialzo dell’1% del PIL su base annua. Ipotizziamo che in questo caso solo la metà del calo sia trasmesso all’economia reale (una crescita di 50 punti base per il PIL nei prossimi 12 mesi). Un deprezzamento del cambio effettivo dell’euro del 5% di solito porta ad un aumento del PIL di 20bp. Ipotizziamo un impatto dimezzato (quindi una crescita del PIL di 10bp). Il calo del prezzo del petrolio dovrebbe fornire un ulteriore impulso positivo al PIL di 30bp nel corso dei prossimi 12 mesi. Immaginiamo che ciò gioverebbe principalmente alle imprese (crescita di 20bp per il PIL). Stimiamo inoltre che l’impatto sul PIL del prossimo del piano di investimenti di 300 miliardi di Juncker sia solo dello 0,2%. Sommando tutto ciò, si arriva ad un incremento di almeno 1 punto percentuale di PIL su base annua. Questo supporta la nostra view maggiormente positiva rispetto a quella del consensus sulla crescita del PIL nel prossimo anno.
Per concludere,continuiamo a ritenere che il consensus sulle prospettive di crescita dell’Eurozona nel 2015 sia troppo pessimista.
Il livello di liquidità globale continuerà a crescere in modo significativo nel corso del prossimo anno con l’espansione di bilancio della BCE ed una politica maggiormente dovish da parte della BoJ. Il vero ostacolo che potrebbe frenare la fiducia degli investitori è rappresentato dai timori deflazionistici. Sebbene da una parte il calo dell’inflazione, dovuto a prezzi delle materie prime più bassi, influenzi positivamente le prospettive di crescita, dall’altro lato rende maggiormente possibile la revisione al ribasso delle nostre aspettative d’inflazione per l’anno prossimo che sono già inferiori a quelle del consensus. A nostro avviso, l’inflazione dell’Eurozona difficilmente raggiungerà nel corso del prossimo anno il livello dell’1% previsto dal consensus, e mediamente rimarrà attorno allo 0,5%. Questo contesto di bassa inflazione pone l’attenzione su sfide strutturali, in ambito politico, fiscale e monetario, che non saranno superate in breve tempo.
Fonte: BONDWorld.it
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